(QuotBit) La depressione, secondo Edoardo Boncinelli

boncinelli

 

Facebook spopola di pagine assurde, che possono spaziare dalla fede al cibo, dallo sport al porno, dalla passione per lo shopping a quella per il bricolage. Com’è naturale che sia,  sono nate anche diverse pagine dedicate a salute e benessere: di queste, molte parlano di psichiatria e non è raro che si trasformino, più o meno volontariamente, in catalizzatori di commenti sprezzanti e giudizi miopi, lasciati da utenti sicuri che questa branca della medicina sia una vera e propria truffa. Il problema è che si tratta di pagine che godono di una certa visibilità, in cui vengono postati articoli, spacciati per ‘la vera informazione’ o per ‘informazione senza filtri’, in cui si spiega come le malattie psichiatriche siano un’invenzione di chi vuole guadagnare con la somministrazione di psicofarmaci.

Le teorie su complotti, ormai si sa -e lo si sa soprattutto grazie alla risonanza data dai Grillini a questo genere di cultura underground-, sono delle più disparate: si va dalle scie chimiche agli extra-terrestri tra noi, rapiti azzittiti e nascosti. In campo medico, poi,  si assiste a un vero e proprio dispiegamento della forza dell’immaginazione: basti pensare a tutto quello che è stato e viene ancora detto sui vaccini, o addirittura sul virus dell’Aids.

Tutte le questioni che ruotano attorno alla mente e alla malattia mentale sono di particolare interesse, perché toccano corde verso cui tutti siamo, più o meno ragionevolmente, abbastanza sensibili: probabile che il motivo stia nel fatto che con la nostra mente noi ci identifichiamo, prima ancora che con il nostro corpo (e prima ancora di renderci conto che la mente altro non è che una parte del nostro corpo), che siamo ben consapevoli dell’importanza che riveste nel nostro quotidiano, dal lavoro alle relazioni, e che quando parliamo di  mente parliamo, in fin dei conti, di natura umana -per alcuni, addirittura di anima.

Dunque già solo per questi ragioni, è facile realizzare che i complotti teorizzati attorno alle patologie psichiche e alle relative cure abbiano un forte appeal, certo più dello sbarco alieno, che tutto sommato basta ci lascino stare e poi che ce ne importa.

Ma c’è di più: chi inneggia a una psichiatria pericolosa e a psichiatri pericolosi, lo fa chiamando in causa degli aspetti che sono stati o sono ancora effettivamente problematici e discutibili, come per esempio le pratiche barbare utilizzate un tempo nei manicomi, l’utilizzo dell’elettro-shock,  la somministrazione di psicofarmaci a  bambini, la necessità o meno di accompagnare l’assunzione di un farmaco con un percorso di analisi e così via. Ma il modo -sì, il problema è sempre e soltanto quello, il modo, il metodo, l’atteggiamento, il procedere razionale, la disposizione dialettica e la capacità di ragionamento logico- è del tutto fuorviante. Non solo: alcune dichiarazioni, se lette da persone che davvero hanno a che fare con la malattia mentale, risultano veramente fastidiose, offensive e imbarazzanti, oltre ad essere vuote di contenuti, di evidenze a sostegno di quanto “teorizzato” o di una qualsiasi impalcatura poggiante su basi scientifiche.

Ecco solo alcuni esempi, tratti dalla pagina No alla psichiatria, no agli psicofarmaci, che conta 6.422 likes:

” Gli psichiatri fanno molto male a somministrare quelle schifose droghe chimiche piene di effetti collaterali ” commento di un utente

” Gli psichiatri uccidono con i loro veleni credono o inventano che le malattie psicologiche derivano dalla mancanza di serotonina nel cervello maledetti cani ” commento di un utente

” Morgan ricoverato per abuso di farmaci. Scommettiamo che si tratta di psicofarmaci? D’altronde nel 2010 disse <Uso la cocaina come antidepressivo. Gli psichiatri mi hanno sempre prescritto medicine potenti, che mi facevano star male. Avercene invece di antidepressivi come la cocaina> ” post dell’amministratore

“Forse non sai che la maggior parte dei cosiddetti fuori di testa, sono così non x causa della presunta malattia, ma è l’effetto dei farmaci che li rende così. Tu non hai idea di cosa queste sostanze possono fare sull’essere umano e come possono trasformarlo. Sta scritto anche sui bugiardini stessi, se non credi a noi. Leggili.” commento dell’amministratore

Purtroppo, non si può neanche dire che si tratta di un ridicolo e piccolo gruppo di esaltati, a cui nessuno dà ascolto, se qualche tempo fa Ambra Angiolini dichiarava al settimanale Sette di aver curato la depressione con una dieta sana e equilibrata, non con gli psicofarmaci come era stata costretta a fare sua madre. In  Italia non esiste una cultura, al di fuori dei circuiti specializzati, su come funzioni il nostro cervello, su cosa siano i neuroni, le sinapsi o su quali meccanismi biologici stiano alla base delle nostre emozioni.

Esiste invece un atteggiamento -forse un retaggio cattolico, oserei dire- secondo il quale ciò che noi proviamo è sempre e soltanto sotto il nostro controllo, è qualcosa di spirituale, di sacro e immacolato, che non si tocca, nemmeno per curarlo. Eppure sono così chiare le parole di uno scienziato come Edoardo Boncinelli, che basta una sola, rapida lettura per comprendere che la malattia mentale esiste, come esistono il mal di stomaco e l’uveite, che è profondamente invalidante e che per fortuna può e deve essere curata, in modo appropriato e adeguato (discutiamo ad libitum su cosa sia appropriato o adeguato, ma non certo nei termini proposti dai paladini di cui sopra):

” Di paura allo stato puro si può parlare per certi disturbi psichici, gravi e meno gravi. In questi casi vien meno la natura intenzionale della paura, che è appunto quella di paura di qualcosa, e si toccano dolorosamente le radici biologiche della paura stessa. Così come in certe forme depressive non si può parlare di disperazione per qualcosa ma di disperazione allo stato puro, di disperazione come condizione essenziale, una condizione alla quale corrispondono un vissuto e uno stato d’animo così totalizzanti e devastanti da portare chi li prova a contemplare l’idea della morte come una prospettiva liberatoria. Non c’è niente di più disperante della disperazione che di nutre di sé stessa, come non c’è niente di più terrificante di una paura senza oggetto. Paura e disperazione sono i neri demoni della malattia mentale. La condizione di chi ne soffre può essere compresa solo se si tiene conto del fatto che questi individui si trovano in contatto con le radici stesse di quelle sensazioni. Stanno sperimentando cioè la funesta potenza delle strutture biologiche e mentali che hanno introdotto la paura e la disperazione in un un mondo che ne ignorava e tutt’ora per lo più ne ignora l’esistenza.” (Da Il cervello, la mente e l’anima, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1999).

Forse varrebbe davvero la pena di prendere coscienza di cosa stiamo parlando quando parliamo di cervello, di mente e di malattia psichica e capire che se Ambra si è curata con due foglie di insalata e una barretta di cioccolato, beh, è probabile non si trattasse esattamente di depressione.

 

 

(ReBit) “Mascherina ti conosco”: tutto merito dei neuroni.

I neuroni sono, almeno a mio modo di vedere, l’oggetto più affascinante della scienza moderna. A partire dalla struttura, che li fa assomigliare a piccole stelle che si stirano le braccia o a ragnetti intenti a tessere la tela. Le loro lunghe e sottili propaggini servono invece a trasmettere e ricevere gli impulsi nervosi: l’assone è un unico, lungo ramo che porta i segnali elettrici dal corpo della cellula (il soma)  verso un altro neurone. I dendriti invece sono quei rami che ricevono il segnale dall’esterno e lo conducono verso l’interno. Fondamentali in questo scambio di informazioni sono le sinapsi, che, situate sulle terminazioni di assoni e dendriti, consentono la trasmissione elettrica, tramite il rilascio di neurotrasmettitori. Grazie a questo -apparentemente semplice- meccanismo, noi siamo in grado di apprendere, muoverci, reagire agli stimoli esterni, comprendere ciò che ci comunicano gli altri (una delle linee di ricerca è il ruolo che i neuroni specchio potrebbero avere nello sviluppo dell’autismo), imparare, interagire con il mondo esterno e, non ultimo d’importanza, ricordare.

Trasmissione dell'impulso elettrico da un neurone all'altro.

Trasmissione dell’impulso elettrico da un neurone all’altro.

Un articolo, pubblicato su “Le Scienze” del mese di Aprile, fa il punto sullo studio dei meccanismi della memoria. Ad oggi, sono due le teorie di riferimento: o ogni ricordo ha sede in un singolo neurone, o un’ampia rete di neuroni codifica uno stesso ricordo. Quest’ultima ipotesi è quella attualmente più accreditata: sostenuta a partire dal 1940 dal premio Nobel Charles Sherrington, mostra come l’attività di una singola cellula nervosa sia sostanzialmente priva di senso e acquisti significato solo all’interno della collaborazione con gruppi di altre cellule. Quello che non è ancora chiaro è se si stia parlando di milioni di neuroni distribuiti in zone diverse o di piccoli insiemi situati in una regione specifica. Gli studi degli scienziati Rodrigo Quian Quiroga, Itzhak Fried e Christof Koch propendono per quest’alternativa, che, sottoposta a prove su modelli, appare ben più verosimile, soprattutto per la sua economicità e efficacia nella costruzione di un ricordo e di correlazioni tra più ricordi (tra un luogo e una persona, per esempio). Se, infatti, milioni di neuroni codificassero ogni caratteristica infinitesimale di persone o luoghi e fosse distribuiti in aree distanti tra loro nel lobo temporale mediano, al momento di creare associazioni tra l’amico Paolo e il bar in cui lo abbiamo incontrato l’ultima volta, ci troveremmo davanti a un processo molto lento e dispersivo. Molto più semplice sembra immaginare di avere davanti un numero ridotto di neuroni, che codificano gli aspetti essenziali del nostro amico e del locale e che vanno a formare, organizzati in ristretti gruppi sparsi, il concetto di “amico Paolo” o di “Bar Sport”. All’occorrenza, solo alcuni neuroni di ogni gruppo si attiveranno, creando il collegamento. 

Al di là dei complicati aspetti tecnici, ciò che è più intrigante è che i nostri neuroni sarebbero in grado di ricondurre un’immagine o una qualsivoglia rappresentazione al concetto di riferimento (all’idea in sé, direbbe Platone). Questo significa che, vedendo il nostro amico Paolo, siamo in grado di riconoscerlo nonostante a volte lo vediamo in piedi, altre seduto, a volte coperto da sciarpa cuffia e guanti, altre in costume, a volte in un ristorante affollato, altre durante una cena intima. La nostra mente scarica tutte le informazioni contingenti e trattiene quelle essenziali, ossia tralascia le qualità secondarie e mette a fuoco quelle primarie, intrinseche all’oggetto.

Insomma, se Bersani può dire di Berlusconi “Mascherina ti conosco” è proprio grazie al modo in cui lavorano le sue cellule nervose, che hanno incamerato il concetto “Berlusconi” e gli eventi a lui relativi, al di là di ogni contesto o apparenza, riconoscendolo così in tutte le occorrenze -anche in quelle mascherate.